Le disabilità intellettive nella scuola primaria

Quando si parla di disabilità intellettive nella scuola primaria, è essenziale comprendere sia le sfide educative che le strategie efficaci per garantire un ambiente inclusivo e stimolante per ogni bambino.


 In questo articolo, ci immergeremo nelle problematiche più comuni legate a queste disabilità, offrendo una guida pratica per insegnanti e genitori. L'articolo è strutturato per fornire una definizione chiara delle disabilità intellettive e per presentare esempi reali attraverso i casi di Ivano, Elsa, Anna, Marisa, Lucia e Marcello. Questi racconti concreti mettono in luce le diverse modalità di intervento e i principali obiettivi da perseguire per rispondere alle esigenze specifiche di ciascun alunno. Scopriamo insieme come la scuola possa essere un luogo di crescita e accoglienza, anche per gli studenti con disabilità intellettive.

Sommario

Cosa si intende per disabilità intellettive?

Le disabilità intellettive sono una condizione neuropsicologica caratterizzata da limitazioni significative sia nel funzionamento intellettivo che nelle capacità adattive. Queste difficoltà influenzano l'apprendimento, la comunicazione, la socializzazione e le abilità pratiche della vita quotidiana. Le disabilità intellettive si manifestano tipicamente durante il periodo dello sviluppo e variano in gravità, potendo andare da forme lievi a gravi. Ogni bambino con disabilità intellettive presenta un proprio profilo unico di abilità e necessità, il che rende fondamentale un approccio educativo personalizzato e basato su strategie inclusive. Comprendere queste disabilità aiuta insegnanti e genitori a supportare in modo efficace il percorso scolastico e la crescita globale dell'alunno, promuovendo un ambiente scolastico accogliente e stimolante.

Ragazzo con sindrome di Down che dipinge su una tela con il supporto di un'insegnante d'arte, in un ambiente creativo e stimolante

Sindrome di down: il caso di Ivano

Il racconto dell’esperienza di Ivano, con la sindrome di Down, che ha iniziato a frequentare la scuola primaria a 8 anni.

 IL CASO

A 8 anni Ivano ha iniziato a frequentare la scuola primaria. Questo avviene mentre si sta concludendo la stesura di questa Guida. Invece di descrivere cosa è stato fatto, risulta opportuno fare delle proposte di intervento.

Non ci soffermeremo sul fatto, ovvio, che è opportuno favorire il massimo adattamento da parte del bambino con tutti gli insegnanti e con i compagni.
Diamo anche per scontato che ci sono stati colloqui costruttivi con le insegnanti della scuola materna e con i genitori. Riteniamo anche assodato che non si delega l’educazione all’insegnante di sostegno, che non si porta il bambino fuori dalla classe, se non eccezionalmente, e che si cercherà di attuare un insegnamento differenziato.

 Passiamo quindi alle domande cruciali per ogni insegnante: “Cerco di insegnargli a leggere? E poi a scrivere? E cosa faccio per la matematica?

Poiché Ivano ha 8 anni si può effettivamente provare a insegnargli, un po’ alla volta, a leggere.

È risaputo (Vianello, 2012) che le basi cognitive per l’apprendimento della lettura (nelle sue prime fasi) sono tra i 4 e i 5 anni. Effettivamente questa dovrebbe essere l’età mentale di Ivano. È opportuno procedere dalle prime attività a quelle un po’ più complesse.


Ne citiamo alcune

  • Corrispondenze - Metti insieme le immagini che stanno bene insieme (terne o quaterne, da individuare tra più figure mescolate)
  • Sequenze - Completare sequenze con una figura mancante da scegliere
  • Seriazioni
     - a 5 elementi di diversa grandezza
     - a 7 elementi di diversa grandezza
  • Classificazioni
     - Mettere assieme gli elementi che stanno bene assieme (a 3 o 4 gruppi, raggruppando gli elementi tra quelli, per esempio, che servono in cucina o che si trovano in cameretta o tra capi di vestiario come scarpe, calzini, pantaloni, maglioni)
     - "Questo non c’entra" (individuare un elemento che non c’entra con gli altri presenti).
Bambina con sindrome di Down che sorride mentre utilizza un computer portatile con una donna adulta, entrambe felici in un ambiente scolastico o biblioteca.

Sindrome di Prader-Willi: il caso di Elsa

Riportiamo l’esperienza di una bambina con la sindrome di Prader-Willi che ha iniziato la scuola primaria a 6 anni e mezzo.

IL CASO

Elsa, una bambina con la sindrome di Prader-Willi, è stata iscritta alla prima classe della scuola primaria a 6 anni e mezzo. Dai documenti messi a disposizione dai genitori risulta quanto segue. La diagnosi che era affetta dalla sindrome di Prader-Willi è stata fatta nel primo anno di vita. A 6 anni e 1 mese è stata rivista dagli operatori ASL, che rilevano:

  • disabilità intellettiva lieve (QI 60);
  • comprensione e produzione linguistica: 3 anni di età equivalente;
  • competenze adattive: 3 anni di età equivalente (un po’ meno nelle abilità motorie)

Come intervenire con Elsa?

Non è il caso di ripetere cose già evidenziate precedentemente, come il fatto che il primo periodo deve favorire una sistematica osservazione, che ogni intervento considera il livello di partenza ecc.

 Ci limitiamo ad alcune considerazioni cruciali (a livello esemplificativo).

Le probabilità che Elsa impari a leggere a livello dei bambini di 1a elementare sono molto basse. Si deve quindi evitare di insistere per non produrre rifiuti e demotivazione dannosi per gli apprendimenti futuri.

 Le attività da proporre sono attività adatte a bambini di età mentale inferiore ai 4 anni. Nel caso Elsa si dimostri competente in qualche area, si può allora provare ad aumentare gradualmente il livello di complessità.
 Per quanto riguarda l’aritmetica è importante procedere senza anticipazioni scarsamente fondate. In pratica: addizioni, sottrazioni e scomposizioni di numeri entro il 5 e procedere con gli altri numeri solo dopo che ha sviluppato una padronanza completa. Serve a poco che impari a contare oltre il 10.

Ulteriori considerazioni devono essere fatte considerando le specificità della sindrome. Si tenga sempre conto dell’iperfagia e quindi di tutte le problematiche a essa connesse. Nelle attività motorie, si tenga conto dell’ipotonia. Si consideri che, di fronte a comportamenti oppositori e di cocciutaggine, è opportuno un atteggiamento flessibile, anche se sicuro. Si presti attenzione alla loro facile affaticabilità.

Bambino con disabilità intellettiva che indossa uno zaino, assorto nei suoi pensieri mentre cammina in un contesto scolastico

Sindrome di Rett: il caso di Anna

Riportiamo l’esperienza di una bambina di 13 anni con la sindrome di Rett, che attualmente frequenta la 5a primaria.

IL CASO

Anna ha 13 anni e attualmente è iscritta in una classe 5a primaria. A 11 anni è stata assodata l’anomalia genetica (mutazione del gene MECP2) tipica della sindrome di Rett.

A differenza di altre bambine con la sindrome di Rett, però, Anna non è affetta da epilessia.
La sua età mentale è tra i 18 e i 24 mesi; sono infatti presenti atti di intelligenza sensomotoria e di primo pensiero simbolico.
Usa frasi di due parole (e qualcuna di tre). La valutazione delle capacità adattive conferma età equivalenti attorno ai 18- 30 mesi.

Quali riflessioni possiamo fare con gli insegnanti di Anna?

La sindrome di Rett causa disabilità intellettive molto gravi. Dalla letteratura internazionale (Antonietti, Castelli, Fabio e Marchetti, 2003; Vianello, 2015) emerge che la grande maggioranza delle persone affette da questa sindrome si colloca in una età mentale fra 8 e 18 mesi e che spesso non parla o usa poche parole. Nel passato la sindrome di Rett era collocata (nel DSM-IV, ma non più nel DSM-5) fra i disturbi pervasivi dello sviluppo, cioè, in altre parole, fra i disturbi dello spettro dell’autismo.

Gli obiettivi scolastici tradizionali della scuola primaria non sono raggiungibili: Anna non possiede le basi cognitive necessarie per imparare a leggere e scrivere, né per eseguire conteggi superiori al cinque o semplici addizioni.

Non sorprende, quindi, che alcuni insegnanti si chiedano se abbia senso inserire nella scuola ordinaria alunni come Anna.
 La letteratura scientifica non offre una risposta definitiva a questa domanda, poiché ha indagato in generale se l’inserimento nella scuola ordinaria sia preferibile rispetto a quello nella scuola speciale (concludendo in favore della prima), ma non fornisce dati esaustivi per quanto riguarda le situazioni di disabilità intellettiva gravissima.

In un colloquio con gli insegnanti, sarebbe opportuno mostrare grande rispetto per le loro opinioni e accoglienza nei confronti dei loro dubbi, che risultano del tutto comprensibili.

Seguire a scuola alunni con disabilità così gravi rappresenta, infatti, una sfida educativa estremamente impegnativa. Tuttavia è possibile affermare che anche gli alunni con disabilità intellettiva gravissima traggono, nonostante tutto, maggiori benefici dalla frequenza di una scuola ordinaria (a contatto con coetanei senza disabilità) rispetto a una scuola speciale.

L’effetto dell’inserimento è infatti multifattoriale: contribuisce a far sentire i genitori meno esclusi dalla società, li incoraggia a non nascondere il proprio figlio ma a coinvolgerlo anche nelle attività extrascolastiche; consente all’alunno con disabilità di confrontarsi con persone senza disabilità, valorizzando così i propri aspetti di normalità, e molto altro ancora. Un ulteriore elemento a sostegno dell’inserimento scolastico nella scuola ordinaria e nella realtà extrascolastica è dato dall’osservazione che gli individui con disabilità intellettiva grave seguiti in questi contesti si sono, globalmente, rivelati in condizioni leggermente migliori rispetto a quanto descritto nella letteratura scientifica.
Ciò è stato constatato sia nel caso della sindrome di Rett che in quello della sindrome di Angelman (Vianello, 2015).

Detto questo, comunque, che fare?

È evidente che gli obiettivi prioritari sono comunicativi e sociali. Ogni situazione dovrebbe essere sfruttata per potenziare la comprensione linguistica e la produzione. Molta cura si dovrebbe inoltre dedicare ai rapporti con i compagni (favorire situazioni di tutoring, di collaborazione relativamente a comportamenti semplici come alzarsi, vestirsi per uscire ecc.). Sarà importante che Anna impari a chiedere aiuto, a ringraziare, a far capire se una cosa le piace oppure no. Eventuali schede da utilizzare sono inoltre quelle relative al potenziamento cognitivo di base.

Ad esempio esercizi come:

  • Allenare l’ascolto, la comprensione verbale, la ricerca percettiva e la memorizzazione
  • Ascolto e indicazione di figure (con eventuale ripetizione di parole)
    - Sembrano uguali, ma… cosa hanno di diverso due figure che sembrano uguali.
    - Cosa manca qui (indicando la seconda scena) che c’è qui (indicando la prima)?
    - Cerca…un oggetto in mezzo ad altri
    - Ricordo di dove sono figure non più visibili
  • Potenziare pensiero e ragionamento
    - A cosa serve?
    - Uguaglianze e somiglianze
    - Corrispondenze
    - Classificazioni: si può provare, senza illusioni.

Non si può escludere che cadute di autostima e demotivazione nei confronti di attività come queste portino a scarsi risultati. Merita comunque provare, cercando di capire se qualcuno di essi può interessare ad Anna. In caso positivo essi possono essere utili non tanto come requisiti ad altri apprendimenti scolastici in senso stretto, ma come allenamento di capacità di base: stare attenti a ciò che dice l’adulto, concentrarsi su un compito, compiere analisi percettive, discriminare, ricordarsi che cosa si vuole fare anche se passa un po’ di tempo ecc. Non dimentichiamo, inoltre, che esercitare/esprimere con successo le proprie capacità cognitive dà benessere. Anche con questo si contribuisce alla qualità di vita.

Bambina e bambino con disabilità intellettiva seduti a terra in un'aula scolastica, che interagiscono tra loro in un momento di gioco o attività educativa.

Sindrome di Cornelia de Lange: i casi di Marisa, Lucia e Marcello

Presentiamo molto sinteticamente i casi di tre bambini di 8 anni con la stessa sindrome, ma con competenze fra loro molto diverse: dalla disabilità intellettiva grave al Funzionamento Intellettivo Limite con prestazioni scolastiche nella norma.

Marisa

Marisa ha 8 anni. Nel primo anno di vita le è stata diagnosticata la sindrome di Cornelia de Lange. Dai test di intelligenza risulta un QI di 61. La produzione linguistica è complessivamente paragonabile a quella di un bambino di 4 anni. La comprensione è migliore. Le competenze adattive sono paragonabili a quelle di un bambino di 5 anni. Marisa legge e scrive come un bambino all’inizio della classe 1a primaria.

Lucia

Lucia ha 8 anni. Le è stata diagnosticata la sindrome di Cornelia de Lange nel primo anno di vita. Le sue prestazioni recenti in un test di intelligenza danno un QI di 78, classificabile come Funzionamento Intellettivo Limite e non disabilità intellettiva. La produzione e la comprensione linguistica sono superiori alle prestazioni intellettive. Le competenze scolastiche sono complessivamente nella norma.

Marcello

Marcello ha 8 anni. Gli è stata diagnosticata la sindrome di Cornelia de Lange nel secondo anno di vita. Le sue prestazioni cognitive sono a livello di disabilità intellettiva molto grave (età mentale inferiore a 18-24 mesi). Produce poche parole e anche la comprensione verbale è molto carente. Le competenze adattive sono quelle tipiche del secondo anno di vita.

La grande differenza tra le competenze di questi tre bambini è un aspetto tipico delle sindromi con estrema variabilità intrasindromica. Gli interventi educativi, scolastici e abilitativi per loro sono molto diversi, in quanto diversi sono i livelli di partenza e quindi la loro zona di sviluppo potenziale.

Per Marcello gli obiettivi primari sono:

  • favorire al massimo la comunicazione (uso della comunicazione aumentativa alternativa);
  • aiutarlo ad avere buoni rapporti sociali con adulti e coetanei;
  • ridurre i comportamenti inadeguati.

Per Marisa gli obiettivi cruciali sono:

  • fornirle un insegnamento differenziato che le permetta prestazioni scolastiche soddisfacenti, anche se lievemente al di sotto di quelle dei compagni;
  • favorire una produzione verbale sempre più ricca dal punto di vista lessicale (nuove parole) e grammaticale (frasi più elaborate);
  • aiutarla ad avere buoni rapporti sociali con adulti e coetanei.

Per Lucia gli obiettivi primari sono:

  • aiutarla il più possibile affinché le sue prestazioni restino nella norma, anche se questo comporta per lei più impegno che per gli altri. Di solito ciò richiede un ottimo coordinamento con la famiglia;
  • sostenerla affinché la sua autostima resti positiva (anche se realistica), in quanto lei per prima si rende conto delle difficoltà (e a volte degli insuccessi) che incontra;
  • aiutarla ad avere buoni rapporti sociali con adulti e coetanei.

Ci è sembrato opportuno, pur non mettendo più di tre obiettivi per ciascun bambino, prevederne uno comune per evidenziare che questo obiettivo li accomuna tutti e che non dovrebbe essere mai trascurato.

Inclusione e Disabilità Intellettive a Scuola

Affrontare le disabilità intellettive a scuola richiede un approccio olistico che coinvolga insegnanti, famiglie e specialisti, con l'obiettivo di promuovere un ambiente inclusivo e stimolante. La comprensione del profilo unico di ogni alunno, insieme alla messa in atto di strategie educative mirate, è essenziale per superare le sfide quotidiane e favorire un apprendimento efficace. Gli esempi di Ivano, Elsa, Anna, Marisa, Lucia e Marcello dimostrano come le differenze individuali richiedano interventi su misura e una costante collaborazione tra scuola e famiglia.

Le disabilità intellettive a scuola non devono essere percepite unicamente come barriere, ma come un'opportunità per ripensare e arricchire il sistema educativo, rendendolo più flessibile e capace di rispondere alle esigenze di tutti gli studenti. Investire nel supporto, nella formazione degli insegnanti e nella costruzione di percorsi personalizzati contribuisce non solo a migliorare il rendimento scolastico degli alunni con disabilità intellettive, ma anche a favorire un clima di rispetto e inclusione all'interno della classe. Alla fine, l'obiettivo è creare un ambiente dove ogni bambino, indipendentemente dalle proprie difficoltà, possa crescere, imparare e sentirsi valorizzato.